Megaliti e stelle. Visioni dal passato.

Intervista a Ilaria Montis di Gabriella Bernardi

All’epoca della redazione del codice Hammurabi, l’antica e remota civiltà del popolo nuragico sardo che si perde nella profonda età del bronzo, circa 2000 a.C., aveva già conoscenze tecniche e architettoniche notevoli per erigere nell’arco di un millennio un patrimonio di oltre 7000 nuraghi.

Purtroppo come abbiano fatto e perché ancora non è dato saperlo.

Dove il tempo o le esigenze non hanno prevalso troppo, si possono ancora ammirare notevoli esempi di sovrapposizioni ciclopiche o considerare le simmetrie e gli incastri a secco, seguiti per la realizzazione di torri o dei vani ricavati su più livelli, collegati da scale elicoidali tra le mura.

Nonostante queste sofisticate realizzazioni il mistero rimane ancora di più per non aver lasciato traccia di una forma di scrittura, magari da decifrare, ma sarebbe stata utile per comprendere il loro mondo.

Malgrado la nostra tecnologia “…forse noi, non sappiamo più leggere queste pietre” con un po’ di rammarico Ilaria Montis si sofferma a considerare una graduale perdita della conoscenza e delle conoscenze che se non si tramandano, svaniscono nel nulla.

Però lei, una ragazza dotata di un sorriso solare e da un’energia quasi inesauribile, è un’archeologa professionista con grandi progetti per il recupero del patrimonio del passato.

Passa facilmente dalle torri ai pozzi sacri fino ad illustrare fenomeni astronomici visibili ancora oggi lungo determinati muri perimetrali, come i solstizi o i lunistizi che vanno ad illuminare porzioni ben determinate di pietre o vani interni quasi nascosti da un buio impenetrabile, tranne determinati giorni dell’anno.

Ormai Ilaria è un volto e una voce conosciuta nei panorami che inglobano le antiche vestigia della sua terra e con una conoscenza approfondita di diversi siti, da quelli noti a quelli ancora da mettere in sicurezza che hanno ancora tanto da raccontare anche astronomicamente.

Per lavoro e mossa anche da una grande passione che è andata ad alimentare il suo progetto “Sardegna Sacra”, trasmette storia e scienza durante le sue svariate visite itineranti che organizza durante tutto l’arco dell’anno, non solo in Sardegna, ma anche in altre isole del Mediterraneo.

Questo nuovo modo di raccontare il passato, facendo emerge collegamenti anche attraverso gli astri, e i loro fenomeni sembrano prestarsi perfettamente in questi siti antichi che pare abbiano tutti un denominatore comune legato al lento moto del cielo. E ultimamente stanno emergendo nuovi studi per comprendere meglio anche il significato dei nuraghi, ma procediamo con ordine.

Partiamo dal passato, non troppo remoto, quando emerge l’archeologia in Ilaria Montis?

Emerge presto, quando ero bambina. Ricordo solo che adoravo vedere siti archeologici e che il giorno che mi raccontarono come una collina può nascondere un sito archeologico, in quel caso un nuraghe, decisi che avrei fatto l’archeologa. Avevo 6 anni. Non ebbi mai nessun ripensamento in vita mia.

Se potessi disegnare una scala temporale quali sono state le tappe fondamentali della tua formazione professionale. Cosa hai acquisito professionalmente lavorando nelle campagne di scavo anche estere?

La mia formazione ha da un lato seguito un iter classico dall’altra è stata subito aperta a stimoli diversi. All’università di Pisa mi sono laureata e specializzata seguendo il percorso di Archeologia del Vicino Oriente Antico, che mi ha portato anche a partecipare nell’arco di 5 anni a 4 campagne di scavo e ricognizione archeologica in Siria.

Questa esperienza sicuramente è stata molto importante non solo professionalmente ma anche dal punto di vista umano, poiché l’esperienza prolungata con realtà molto diverse da quelle di origine permette di destrutturare schemi mentali e spazzare molti pregiudizi, aprendo la mente e rovesciando i punti di vista dai quali siamo soliti guardare la realtà.

Mi sono formata professionalmente in un ambiente aperto e internazionale e questo mi ha permesso di avere e mantenere sempre uno sguardo allargato sul mondo antico, sulle molteplici interrelazioni a tutti i livelli che anche le civiltà più antiche hanno sempre intrattenuto fra loro.

Tuttavia verso la fine della Scuola di specializzazione ho sentito la necessità di aprirmi nuove strade e ho frequentato il master in Geotecnologie per l’Archeologia al CGT. Questa formazione ibrida mi ha permesso una volta tornata in Sardegna di avere i primi incarichi nell’archeologia preventiva e territoriale e di poter lavorare per 5 anni come assegnista di ricerca all’Università di Cagliari, periodo in cui ho svolto anche il mio dottorato in Scienze e tecnologie per l’Archeologia e i Beni Culturali all’Università di Ferrara.

Oggi diventare una Schliemann sarebbe più improbabile? Com’è cambiata l’archeologia in questi anni?

Oggi, giustamente, non è più possibile prendere l’iniziativa di scavare un sito archeologico a proprio piacimento, come facevano gli avventurieri dell’ottocento che hanno riempito i grandi musei europei depredando altri paesi della loro storia. Tuttavia le scoperte degli ultimi decenni non sono certamente meno eclatanti di quelle di uno Schliemann, pensiamo ad esempio al sito di Gobekly Tepe, o alle recenti scoperte sulla “spiritualità” dei Neanderthal, o alla rilettura in chiave archeoastronomica delle raffigurazioni delle grotte di Lascaux.

Il passato rivela sempre nuove sorprese non solo perché si scoprono continuamente e ovunque nuovi siti archeologici, ma anche perché abbiamo sempre nuovi occhi e nuovi strumenti per osservarli e studiarli, per cui con la nostra conoscenza cresce anche la possibilità di conoscere.

L’archeologia oggi ha metodi codificati che ne fanno una disciplina scientifica che dichiaratamente è distante dall’approccio dell’antiquario avventuriero che caratterizzava le ricerche dell’ottocento. Oggi l’archeologia si definisce interdisciplinare perché notevoli e diversificate sono le competenze richieste agli archeologi e che concorrono in un progetto di ricerca archeologica.

Inoltre c’è la necessità di rivolgersi a specialisti di altre discipline per poter ottenere il massimo dai dati provenienti dagli scavi archeologici. Oggi si fanno analisi impensabili fino a pochi decenni fa, in particolare sui reperti organici. Senza contare che la rivoluzione digitale ha investito l’archeologia come un treno. Ero una studentessa ai primi anni quando ci insegnavano il rilievo delle strutture e delle unità stratigrafiche a matita direttamente sul campo, con filo a piombo e scalimetro.

Oggi con la fotogrammetria terrestre, i droni e i Gps in pochi passaggi disponiamo di rilievi tridimensionali che ci permettono di documentare ogni fase dello scavo. In teoria quindi, nessun dato dovrebbe più andare perso. Nella pratica però la mole immensa di dati archeologici da gestire pone non pochi problemi.

Inoltre la loro eterogeneità e la loro dispersione tra archivi cartacei e digitali rende molto difficoltoso, oggi più che mai, comporre un quadro completo anche quando si vuole fare una ricerca su dati che dovrebbero essere in teoria a disposizione di tutti. I dati quindi si accumulano in modo impressionante, senza che però ne sia agevole la consultazione, l’analisi e la comparazione.

Questo crea una grande lentezza nell’acquisizione e recepimento di nuove informazioni che in alcuni casi permetterebbero il superamento di paradigmi interpretativi ormai obsoleti e spesso basati su dati insufficienti ma ormai talmente consolidati nelle tradizioni degli studi da essere difficilmente messi in discussione.

Ilaria Montis presso l’ingresso di uno dei 7000 nuraghi presenti in Sardegna. Foto di Gabriella Bernardi

Dopo un classico iter di specializzazione e di contratti universitari come ti è venuta l’idea del turismo archeologico?

Sono da sempre innamorata della Sardegna dei suoi monumenti archeologici, della sua storia, dei suoi paesaggi e ricchezze naturali. Da quando ho preso la patente, quindi molto presto, ho sempre girato la Sardegna in lungo e in largo. Mi è sempre piaciuto accompagnare le persone a scoprirla, diciamo che è proprio una vocazione.

Ho iniziato con amici e colleghi di Università, per puro piacere. Poi dopo ho iniziato a avere richieste e così una volta finita la collaborazione con l’università e il mio dottorato di ricerca mi è sembrato normale proporre delle attività che mi permettessero di condividere la mia passione con un pubblico ampio, così ne ho fatto un progetto, che ho chiamato Sardegna Sacra, che oggi è un lavoro che mi piace moltissimo.

La Sardegna ha un patrimonio archeologico di inestimabile valore e unicità, ha una densità di siti archelogici tra le più alte al mondo. Considerando che diverse tipologie di monumenti hanno un interesse storico-culturale che travalica sicuramente quello locale, perché unici al mondo e testimonianza di civiltà evolute e raffinate, è davvero stupefacente che la Sardegna non abbia ancora sviluppato un turismo archeologico da grandi numeri e questo è sicuramente da imputare a complessi fattori di natura politico-sociale. Per questa enorme potenzialità ancora largamente inespressa mi sento chiamata in causa direttamente e cerco di contribuire nel mio piccolo e con i mezzi che ho a disposizione a diffondere la conoscenza sul patrimonio archeologico della Sardegna.

Da archeologa a divulgatrice e guida turistica. Un salto non facile, difficoltà e soddisfazioni nel comunicare al pubblico non accademico.

Molti pensano che parlare di archeologia alla gente sia difficile e che le argomentazioni archeologiche debbano essere illustrate come dati di fatto e in modo superficiale per essere comprese da un pubblico non specialistico. In realtà non è affatto così. A mio parere è solo mostrando la complessità delle tematiche che andiamo a trattare, senza banalizzare o semplificarle troppo, che la gente si appassiona. Per questo cerco di fornire gli elementi principali per seguire un ragionamento su tematiche archeologiche, stimolando lo spirito critico e la partecipazione attiva delle persone.

Una delle difficoltà maggiori è che il pubblico può essere molto eterogeneo e variegato. In Sardegna c’è una vera e propria rinascita dell’interesse collettivo verso il patrimonio archeologico, quindi non è raro che ai miei eventi partecipino sia persone molto informate che persone che invece sono quasi a zero.

Comprendere il prima possibile a chi si sta parlando e riuscire a mediare tra esigenze molto diverse, affrontando temi caldi e oggetto di polemica con eleganza e dando spazio ai diversi punti di vista, è una vera e propria arte che si impara con l’esperienza e che continuo a affinare giorno dopo giorno. Sicuramente la soddisfazione più grande è guardare a fine giornata gli occhi delle persone con cui abbiamo condiviso una giornata insieme, la loro soddisfazione è anche la mia.

Stelle e archeologia, come ne sei venuta a conoscenza? Cosa proponi nelle tue visite-escursioni-tour? E’ un binomio che incuriosisce chi si iscrive alle tue visite?

Ho iniziato a interessarmi di archeoastronomia da diversi anni, documentandomi e studiando l’ampia bibliografia già disponibile per la Sardegna. L’importanza che l’uomo antico attribuiva all’osservazione del cielo non mi è in verità mai stata estranea, avendo come detto sopra, iniziato i miei studi col percorso di archeologia del Vicino Oriente. Per cui una volta tornata stabilmente in Sardegna e da sempre interessata alle tematiche del sacro che anticamente si intrecciavano anche all’osservazione dei moti celesti, ho iniziato a approfondire l’argomento e a realizzare la sua importanza e imprescindibilità per una comprensione più approfondita del significato di diverse tipologie di monumenti.

L’aspetto relativo all’orientamento astronomico dei monumenti è a mio parere un dato oggettivo che va integrato agli altri, ovvero ai dati materiali, per poter interpretare un monumento e la sua storia. Ma, a differenza dei dati materiali rivenuti negli scavi, e che sono testimonianza delle diverse fasi d’uso e di frequentazione di una struttura o un sito, l’orientamento, per definizione ha a che fare con la progettazione di un monumento.

Quindi si pone, da un punto di vista strettamente cronologico, in un momento precedente rispetto alle testimonianze della “vita” di una struttura. In altre parole ci comunica un’informazione che per i costruttori era importante esprimere attraverso l’architettura, e che noi non possiamo quindi ignorare. Le implicazioni sono enormi e possono essere chiarite e meglio definite facendo ricorso da un lato all’antropologia e alla storia delle religioni comparata e dall’altro all’integrazione coi dati materiali veri e propri.

Il lavoro da fare in questo senso è ancora tantissimo, poiché siamo ancora molto lontani dall’integrare in modo sistematico i dati archeologici materiali da quelli dell’astronomia applicata all’archeologia. Tuttavia, alcune prime cose si possono dire, e quindi ho iniziato a inserire queste tematiche nei programmi dei miei tour, organizzando anche eventi a tema in corrispondenza degli eventi astronomici principali, in particolare i solstizi, in cui gli orientamenti dei monumenti, in particolare nuraghi, ma anche domus de janas, sono apprezzabili ancora oggi anche a un occhio profano.

L’argomento è talmente affascinante che non può non destare interesse. Proviamo ancora oggi una forte suggestione osservando il sole che tramonta o sorge, è naturale che tale impatto emotivo sia ancora più forte osservando come migliaia di anni fa l’uomo abbia eretto migliaia di monumenti straordinari che glorificano la perfezione celeste.

Ci tengo a precisare che questo non significa necessariamente che queste strutture, nella loro complessità, non avessero una pluralità di significati e usi, magari cambiati parzialmente nel corso della lunga storia. Tuttavia la suggestione e l’emozione che questi luoghi e la loro relazione al cielo suscitano è innegabile.

Chi sono i fruitori dei tuoi tour? E’ vero che l’archeoastronomia è un turismo di nicchia?

I fruitori dei miei tour hanno in comune solo poche cose: un interesse molto maggiore rispetto al “turista medio” verso l’archeologia e la preistoria, sia in generale che nello specifico della Sardegna; e spesso un interesse verso le tematiche del sacro e la spiritualità intesa non in senso religioso, ma nel senso più ampio del termine, come ricerca individuale sul senso della vita, cosa che spesso li spinge a ricercare “alle origini”.

Per il resto posso dire che il mio pubblico è assolutamente eterogeneo, come fasce d’età, come livello d’istruzione scolastica e specialistica, o come studi di approfondimento personali, estrazione, provenienza geografica, settore d’occupazione.

Ci tengo sempre a precisarlo perché questo mostra che queste tematiche hanno un interesse trasversale e queste tour possono quindi essere l’occasione per far incontrare persone che magari non si incontrerebbero altrimenti, con tutto ciò che questo implica. 

Il turismo legato all’archeoastronomia è un turismo di nicchia qua in Sardegna, perché non c’è ancora abbastanza attenzione al tema e non è affatto conosciuto al di fuori dell’isola. Se pensiamo a Stonhenge o Newgrange, difficilmente potremmo definirlo di nicchia viste le migliaia e migliaia di persone che accorrono da tutto il mondo per vedere un’alba.

Come vedi il futuro, quello archeologico e quello archeo-turistico? Il collegamento con i centri di ricerca o le pro-loco possono aiutare?

Per quanto riguarda la Sardegna siamo sicuramente in un momento di transizione e ricambio generazionale. Negli ultimi dieci anni molte nuove scoperte hanno fatto vacillare vecchie certezze e ci stanno permettendo di guardare alle civiltà della Sardegna con occhi nuovi, soprattutto per quello che concerne l’età del Bronzo e del Ferro, che in Sardegna corrisponde con quella che definiamo “civiltà nuragica”.

Siamo però ancora in attesa che tutti questi nuovi dati e scoperte vengano riuniti in un modello coerente. Siamo in attesa che una sintesi completa e aggiornata (fermo restando che per sua definizione la ricerca è in continuo aggiornamento) giunga al grande pubblico, a iniziare dall’inclusione nei programmi scolastici, passando per una divulgazione scientifica di qualità e arrivando infine al turismo archeologico.

Gli istituti di ricerca stanno già facendo qualche primo passo in tal senso, con l’aumento dell’interesse e dell’impegno verso quella che è definita “archeologia pubblica”. Il coinvolgimento dei territori attraverso una rinnovata consapevolezza dei loro abitanti in quanto “custodi ed eredi” dei patrimoni archeologici collettivi è di vitale importanza.

Tuttavia le pro-loco sono in forte decadenza, per quanto in molti comuni ancora esistenti e funzionanti, e stanno lasciando spazio a forme più attuali di partecipazione: gli appassionati, singoli e in gruppi più o meno organizzati che monitorano e documentano lo stato dei monumenti, spesso anche dei più nascosti e inaccessibili, condividendo materiale video e fotografico su internet attraverso i blog e i vari social è in continua crescita.

Un movimento completamente spontaneo che è contagioso e che ha un ruolo non indifferente nel diffondere non solo le informazioni sui monumenti, ma proprio nel far aumentare sia l’interesse nel visitarli, che la consapevolezza della loro importanza e delle necessità di tutelarli e renderli fruibili alla collettività.

All’aumento dell’interesse corrisponde anche una crescita del turismo specifico, ma non si può certamente pensare che la promozione del patrimonio comune si possa lasciare unicamente alla libera iniziativa dei cittadini. Per questo motivo anche le scelte politiche sono determinanti in tal senso. Non basta finanziare scavi e restauri dei siti, cosa che comunque viene fatta anche se come si usa dire spesso “i soldi non bastano mai”, occorre finalizzare e gestire meglio gli investimenti, affinché tanti siti scavati non restino poi deserti per anni al termine dei lavori, affinché le conoscenze derivanti dai lavori siano prontamente divulgate al grande pubblico e affinché quei luoghi possano diventare fruibili.

Occorrono dei piani di comunicazione e di “creazione dell’interesse” che permettano di fare di tutta la Sardegna, un museo a cielo aperto, un attrattore turistico di tipo storico-culturale, e che soprattutto si rivolgano in modo deciso oltre mare, con un investimento forte per creare strategie di qualità che possano avere una reale efficacia.

Cosa che attualmente non si verifica. Basta guardare i numeri. Nonostante il trend sia positivo, e il sito archeologico più visitato in Sardegna, Su Nuraxi di Barumini, insignito dell’importante riconoscimento UNESCO di bene patrimonio dell’umanità, registri una continua crescita del numero di visitatori, tuttavia la Sardegna è molto lontana dai primi posti in Italia come meta del turismo archeologico e culturale.

Vista interna di Su Nuraxi. Foto di Gabriella Bernardi

La recente classifica dei 30 musei e siti di interesse culturale più visitati in Italia mostra infatti che il trentesimo sito in classifica ha registrato molto più del doppio dei visitatori di Su Nuraxi. Un dato su cui riflettere seriamente.

Ancora sogni nel cassetto?

Come ricercatrice sogno di avere più tempo per portare avanti e pubblicare gli studi che sto portando avanti in modo indipendente.

Come divulgatrice e operatrice turistica sogno che finalmente la Sardegna e i suoi straordinari monumenti siano conosciuti e accessibili a un pubblico sempre più ampio, come meritano in quanto patrimonio dell’umanità e non esclusivo di noi sardi.

Tutti sogni realizzabili quindi, sono ottimista per natura.

Gabriella Bernardi

giornalista e scrittrice scientifica